Oh Capitano, mio Capitano!
Investire in cultura vuol dire, secondo il mio modesto parere, uscire dal tradizionale, da ciò che ci offre la televisione e i mezzi classici di comunicazione, e cercare di intrattenere le persone con qualcosa di interessante, di innovativo. Qualcosa che permetta loro di formulare un loro pensiero.
Lo spirito di Pasticcio Di Rapanelli è proprio questo: dare voce a persone e storie con un loro bagaglio culturale e renderlo il più stimolante e interessante possibile per chi lo legge.
Tutto questo per introdurvi alla prossima storia.
Ultimamente Facebook, che forse agli albori poteva risultare un mezzo di conoscenza innovativo e persino utile per qualche ricerca, sta diventando un ricetaccolo di polemiche sterili, di offese gratuite per chi la pensa in maniera diversa dalla massa, una tifoseria da stadio per qualsiasi argomento trattato, e a mio avviso proprio per queste ragioni, credo che Facebook, allontanatosi dal suo scopo principale, sta perdendo colpi.
Girando tra le pagine che ancora catturano il mio interesse, mi sono imbattuta per caso nella vita di Marco Galice. Qualcuno mi aveva “segnalato” un post molto fuori dal coro. Un post scritto da un simpatico insegnante di Andria.
Questo post, che altro non è che uno sfogo di Marco, mi ha talmente interessato che sono subito corsa a cercare l'autore.
Nella sua semplicità questo breve post muove un’accurata accusa, e lo fa in maniera molto diplomatica, a questa nostra società che è diventata così superficiale, che bada molto più all’apparenza e poco al sacrificio vero, che mette in piazza il nulla spacciandolo per cultura.
Ho così posto a Marco alcune domande ed ecco che cosa mi ha raccontato.
1. Che materia insegni?
Insegno lettere nella scuola media. Attualmente lavoro all’istituto “Vittorio Emanuele” di Andria.
2. Quanti anni hai?
Ho 48 anni.
3. Leggendo il tuo post mi è venuto subito in mente il film “L'attimo fuggente” con Robin Williams.Per diventare insegnante hai preso spunto dal suo ruolo, il rivoluzionario professore Keating, oppure hai avuto qualche altro modello di riferimento?
Non nascondo che il professor Keating è sempre stato un punto di riferimento perché ci ricorda ogni giorno che la scuola deve riuscire a sollecitare e sviluppare il pensiero critico dei ragazzi; in tal senso certe regole, certi modelli didattici sono ormai anacronistici e lontani dal loro mondo. Trovare un canale comunicativo nuovo e personalizzato per ogni alunno è la sfida più grande a cui sono chiamati gli insegnanti, sforzandosi di comprendere il loro punto di vista, la loro prospettiva sulla realtà sganciandosi dalla nostra. Non ho mai amato fare lezione dietro la cattedra. Molto meglio davanti, per terra o sopra i banchi….
4. Pensi che l’Italia, soprattutto a livello culturale e scolastico, stia perdendo di credibilità?
La credibilità della scuola, intesa come istituzione e luogo formativo, è data in primo luogo dalla considerazione che uno Stato le riserva. Lo stesso ragionamento vale per la cultura. Negli ultimi 20 anni, la finestra temporale che prendo come riferimento perché corrisponde ai miei anni di insegnamento, abbiamo assistito a governi che hanno costantemente svilito il ruolo educativo dei docenti in termini di professionalità e retribuzioni. Abbiamo assistito a una lunga serie di riforme che in realtà non hanno mai interessato a fondo il sistema educativo della scuola, le sue metodologie, i suoi programmi, ma semplicemente la sua gestione, in una prospettiva aziendale. La questione non è mai stata “cosa facciamo” ma “come dirigiamo”. Nel frattempo lo Stato ha incentivato il sistema dell’istruzione privata, delle lauree on line, dei percorsi di studio semplificati in cui l’importante è pagare, senza un reale certificazione dei livelli formativi acquisiti, assecondando in tutto e per tutto il concetto della sotto-cultura. Tutto ciò è aberrante. Ed è proprio per questo motivo che la scuola italiana sta perdendo la sua credibilità. E’ una scuola ferma, mentre il mondo dei nostri adolescenti corre a 100 all’ora. E’ evidente che facciamo una enorme fatica a stargli dietro, a comprenderli e ad educarli. E come inevitabile conseguenza le famiglie, insieme ai ragazzi, ci vedono sempre meno come un punto di riferimento.
5. Cosa pensi che manchi nelle scuole?
Credo che nelle scuole italiane manchi in primo luogo una maggiore autonomia dei docenti in termini di programmazione didattica. I programmi scolastici sono bloccati da anni e a volte intoccabili. Lo spazio dedicato al 1900 ed al 2000 è irrisorio. Da tempo è stato introdotto il principio delle competenze in sostituzione delle semplici conoscenze. Un principio che condivido pienamente. Ma alla resa dei conti di difficile attuazione nel momento in cui gli insegnanti sono ingabbiati dal rispetto a volta esasperante dei programmi e da una burocrazia che ormai sta diventando asfissiante, togliendo tempo e risorse preziose alla didattica. Faccio un esempio concreto per la mia materia: da anni propongo di abolire il libro di antologia perché la comprensione del testo, che rimane indispensabile, può svolgersi in mille modi; ad esempio, come piace fare a me, con i testi musicali, la ricerca di brani o estratti su internet individuati anche insieme ai ragazzi tra autori inediti e più vicini ai loro gusti, la lettura e l’interpretazione dei testi teatrali. Ogni volta questa mia proposta è stata puntualmente bocciata. Nel mio piccolo mi sforzo di metterla in pratica ma poi devo comunque rendere conto dei programmi e dei libri che le famiglie sono costretti ad acquistare. Dal 2010 è stata introdotta la “didattica personalizzata” che però è rimasta un vuoto esercizio formale, perché da 20 anni restiamo schiavi del sistema Invalsi, che tende ad una omologazione dei saperi senza alcuno spazio per il sapere critico, e delle prove parallele che impongono un livellamento dei saperi e dei programmi. Una contraddizione sconcertante.
6. Nel tuo post hai citato anche personaggi “illustri” come Alfonso Signorini, Maria De Filippi, ect...come cerchi di fare capire, o recepire, ai tuoi studenti che quei programmi sono artefatti?
I nostri ragazzi in realtà sono molto più attratti dagli influencers e dal mondo di internet. La mia invettiva contro la tv trash e i conduttori citati è nata dalla convinzione che è stato proprio quel genere di tv a generare successivamente il mostro dell’apparenza, dell’ostentazione, della ricerca esasperante dell’applauso e dei “mi piace” che poi si è trasferito nel mondo di internet e dei social. L’origine del male a mio avviso è proprio lì. Parlo molto con i ragazzi di questo aspetto, li sprono costantemente a sviluppare un pensiero critico, una propria personalità senza modellarsi sugli altri e senza vergognarsi mai di come sono. E il modo migliore per farlo è sempre quello di dimostrare come l’imitazione degli altri in realtà non li rende interessanti, perché non consente loro di dire nulla di nuovo. Cosicché il risultato finale, spesso, è l’indifferenza da parte di chi ti sta intorno. Le mie interrogazioni si concludono sempre con domande personali, poste da me o dagli stessi compagni, per obbligare i ragazzi a ragionare, ad essere sé stessi, a dire ciò che pensano realmente; a farsi conoscere insomma per ciò che sono e non per ciò che gli altri vorrebbero che fossero. E loro ormai sanno bene che la capacità di rispondere e mettersi in gioco incide molto sul voto finale dell’interrogazione.
7. Un “nuovo lavoro” che va per la maggiore è l'influencer, il tiktoker...insomma non hai ne arte ne parte però sei famoso. Come ti spieghi questo?
La risposta si lega inevitabilmente con quanto detto. In un mondo adolescenziale, ma non solo, in cui c’è sempre meno spazio per il pensiero critico diventa sempre più facile proporsi come influencer o tiktoker, perché chi ti osserva è sempre più incline ad assecondare ciò tu dici o proponi. Se viene meno la capacità di osservazione e giudizio, l’influencer dilaga. Se coltivare una propria personalità è un processo che inibisce gli adolescenti, perché li fa sentire sbagliati e giudicati agli occhi degli altri, per cui la scorciatoia è adeguarsi a chi ti circonda e si propone come modello da seguire, il mondo degli influencers e dei tiktokers diventa preponderante. Da qui si capisce l’importanza della scuola e il ruolo irrinunciabile che è chiamata ad esercitare per contrastare questa preoccupante distorsione.
8. Pensi che gli adolescenti di adesso siano più fragili rispetto alle generazioni passate?
Sicuramente, anche per i motivi che ho appena cercato di spiegare. I nostri ragazzi sono sempre più fragili, sempre più deboli; basta un piccolo insuccesso o una semplice critica a mandarli in crisi. Ed è normale se non sono più abituati a rafforzare sé stessi perché rincorrono gli altri. L’imitazione a tratti patologica di modelli all’insegna della perfezione da cui sono quotidianamente bombardati, li mette all’improvviso a confronto con i difetti ed i limiti che tutti noi abbiamo. E questa presa di coscienza scatena ansie e paure, proprio per una fragilità dovuta a personalità sempre più deboli.
Marco leggerti è stato un vero piacere! Tutti dovremmo avere più insegnanti come te! Tu esci dal coro e la cosa mi piace moltissimo! Spero che leggendo queste tue parole i più giovani decidano di essere meno “influenzabili” da queste mode effimere e trovino, con l’aiuto di insegnanti seri e professionali come te, la loro strada! E, quasi mi viene spontaneo aggiungere, “O Capitano, mio Capitano!”.
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