Be my Voice, Masih
E mentre seguo le vicende di ciò che ormai in gran parte della Francia sta accadendo, mi torna in mente un altro fatto tragico: Mahsa Amini, una ragazza iraniana di 22 anni uccisa da una legge barbara che impone alle donne di quel paese, a guida mussulmana, di indossare lo hiijab. Come ogni mattina Mahsa si era coperta il capo con il suo hiijab per uscire di casa, ma un soffio di vento aveva spostato il foulard lasciandone scoperta una parte. E questo le è costato la vita.
Ci sono parti del mondo, paesi a guida mussulmana, in cui alle donne è negato il diritto di uscire di casa senza il capo velato.
L’altro giorno mi sono imbattuta in un docufilm dai toni molto crudi: “Be my voice” è il racconto di una giornalista iraniana, Masih Alinejad, esiliata per motivi politici in America, narrato ad una regista, Nahid Persson, anche lei iraniana, rifugiata in Svezia. Sono voci e filmati raccolti tramite l’uso di un semplice cellulare che mettono in evidenza il problema delle donne islamiche.
In Iran, a seguito della presa di potere da parte di una Repubblica Islamica, tantissime persone hanno perso la loro libertà.
Per quanto riguarda le donne, è stato imposto loro lo hiijab, un copricapo che impedisce loro di sentire il vento tra i capelli, sentirli bagnati in una giornata di pioggia. Deve essere una sensazione molto spiacevole sentirsi limitate nei propri desideri, come quello di dipingersi le unghie senza essere additate come ragazze di facili costumi. Quando una donna mussulmana ha il ciclo, non può sfogliare le pagine del Corano se non con un fazzoletto. Se deve usare l’auto deve farlo con un autista, dato che le donne non hanno il diritto ad avere la patente. Non può usare neppure una “Bicicletta verde” per giocare con un amichetto, perché rischia di perdere la verginità. (Un bellissimo film di Haifaa al-Mansour che spiega la situazione femminile negli Emirati Arabi)
Il suo nome, in quanto donna, non comparirà nell'albero genealogico di famiglia e deve accettare che il marito, se la moglie non riesce a dargli un'erede maschio, si sposi con un'altra.
Se la donna ride sta mostrando la sua sessualità e un qualsiasi poliziotto ha il diritto di picchiarla, se non addirittura di ucciderla.
Queste sono solo alcune delle regole che le donne, ragazze e bambine, devono rispettare nei paesi a guida mussulmana.
Le leggi mussulmane, interpretate dagli uomini, prevedono di mantenere la donna ai margini della società: solo “fattrici” senza nessun diritto.
In alcuni casi estremi, se vogliono studiare ed esplorare il mondo, corrono
il rischio di essere arrestate e sono per questo costrette ad abbandonare il
loro paese. Non possono scendere in piazza a protestare per rivendicare
ciò che in altri paesi per le donne è già un diritto acquisito. Spesso e volentieri
vengono condannate con processi farsa.
Nel film documentario, la regista Naihd Perrson ha registrato alcuni momenti di vita quotidiana nelle strade di Teheran. Ragazze coraggiose che si tolgono lo hiijab di fronte a uomini violenti che le ingiuriano. Ragazze che insieme, tenendosi per mano, sventolano lo hiijab tolto dal capo, come segno di libertà. Ci sono ragazzi, maschi, della loro stessa età, che sostengono assieme alle giovani donne il diritto di queste ad essere “uguali” a loro, e offrono fiori, alle donne velate, in un treno della metropolitana. Le meno coraggiose di loro non accettano un segnale così semplice e, intabarrate nel loro scialle nero, scappano inorridite. Scopriamo, durante il lungometraggio, che molte di queste azioni sono state denunciate alla polizia, e le ragazze arrestate sono tutt’ora in carcere con condanne molto dure. In alcuni casi più di vent’anni.
A dare voce a queste persone è la giornalista e attivista, Masih Alinejad che, attraverso i suoi canali sociali, non vuole fermarsi e continua a far sentire la loro voce.
“Be my voice” è un film duro, che andrebbe però a mio avviso fatte vedere in tutte le scuole.
Bisognerebbe creare una coscienza collettiva sul diritto di tutte le donne
ad essere trattate come gli uomini. Non solo a parole, ma a fatti. Nell’ultima
parte del docufilm, si vede infatti che alcune parlamentari europee, che
avevano sostenuto il progetto dell’attivista, nel momento in cui vanno a
parlare con i governanti iraniani, si coprono il capo con lo hiijab in senso di
rispetto e di accettazione delle loro leggi.
Peccato però che una volte uscite dal paese mussulmano, loro possono tranquillamente provare la piacevole sensazione del vento tra i capelli. Mentre ad altre donne non è concesso.
Personalmente non ho niente contro chi ha un suo credo.
Alla sua maniera ogni religione può essere affascinante e insegnarci qualcosa. Sono contro chi ne fa un uso irrispettoso e dittatoriale.
In quanto donna mi sento violentata nell'anima ogni volta che vedo, o
sento, persone del mio stesso sesso uccise per aver sorriso, aver mostrato una
ciocca di capelli, aver deciso di studiare o viaggiare in giro per il mondo.
Se per noi occidentali è giusto manifestare per tematiche più o meno importanti come la richiesta di un salario minimo o per il nostro pianeta sempre piu’ saturo non capisco perchè loro, che altro non chiedono di essere libere di lasciare che il vento scopigli i capelli, di poter avere la possibilita’ di poter studiare, diritto che viene loro negato in quanto donne, debbano essere condannate o uccise.
Commenti
Posta un commento